Nomen Omen: ARGO
Perché il progetto porta il nome di ARGO?
In verità, è il nome ad essersi fatto scegliere.
Passeggiavamo per le lande greche, nell’aria si respirava un senso che voleva esser pronunciato. Ci guardammo e questo senso era chiaro: “Occhi aperti, vigili, per rimanere fedeli”.
Così lo chiamammo alla vita: ARGO, e divenne un progetto.
I rimandi connessi ad «Argo» sono piuttosto espliciti nella nostra mente, ma indagando a fondo e lontano si scoprono essere più vasti di quanto ci si possa attendere.
Quasi tutti possiamo dire di aver avuto menzione di Argo il cane di Ulisse, celebre da giovane per la sua forza e velocità nella caccia, ma famoso nei nostri ricordi come simbolo di lealtà nonché della quieta pazienza che caratterizza un affetto inamovibile.
Questa creatura, dopo aver atteso per vent’anni, prima di lasciarsi morire fu in grado di riconoscere il proprio padrone anche dietro le vesti di un mendicante, quando ritornato ad Itaca quest’ultimo gli passò accanto. Non ebbero bisogno di molti gesti per intendersi a vicenda:
“[Argo] agitò la coda
e lasciò ricadere le orecchie; ma ora non poteva
accostarsi di più al suo padrone. E Odisseo
volse altrove lo sguardo e s’asciugò una lacrima
senza farsi vedere da Euméo”
(Odissea, XVII)
ARGO è inoltre la nave degli Argonauti, la prima nave a solcare mari inesplorati compiendo così qualcosa che negli echi di tempi lontani veniva concepito come una nefandezza: quello della colpa insita in una tal navigazione era sentita quasi come atto di hybris nei confronti delle divinità.
Le si sfidava!
“I racconti mitici erano formulati per velare
e contemporaneamente informare chi aveva gli occhi della sapienza aperti. […]”
“Il comandante della mitica nave Argo è Giasone, Jason, Jona dei troiani, Jon degli Scandinavi, Ganesha dell’India, il Sole. Fra gli egizi il sole nascente era Osiride […]. Giasone è Osiride, il Sole.”
(Pisciuneri V., Miti – Storia velata, Libro VI Giasone e gli Argonauti)
L’autore non ha tutti i torti. Chi, se non il Sole, poteva guidare nel solcare i mari notturni dell’ignoto?
Le divinità, tuttavia, sono state paragonate da diversi studi a forme-pensiero che ammorbano l’uomo e che, ai fini di una propria autoconservazione, non permettono di essere sovrastate da altri livelli di realtà.
E così le divinità si manifesterebbero nella mente umana come una cieca e dispotica predisposizione ad imprimere la propria unità di misura alla realtà. Agendo come incantesimi, filtrano percettivamente la realtà arrivando anche a manifestarsi come psichismi.
“Argo” sembra invece riferirsi alla “divinità” quale virtù dell’animo umano, una caratteristica da conquistarsi; etimologicamente è legato alla radice proto-indoeuropea “arj”/”arg” che evoca lo splendere dell’impeccabilità, ed in sanscrito diviene arjunas (o argunas): bianco splendente, brillante; da cui anche il nome dell’eroe dell’Epica indiana “Arjuna”, “il puro”.
Più nello specifico, “arj” significa “andare incontro [ar] dritto in avanti [j]”.
Tracce di questa etimologia si ritrovano nell’aggettivo greco ἀργός che significa “di un bianco brillante, abbagliante”, così come anche ” veloce, rapido”. In italiano, infatti, se ne sono dedotti termini come: arguire (argomento, arguzia), argento, argivi (achei), argilla.
Sotto la voce ‘Arguire’, il Vocabolario Etimologico della Lingua Italiana (Pianigiani, 1907) precisa questa origine:
“dalla radice ARJ = ARG’; che ha il senso di splendere (sanscritto: ARGUNA, chiaro) donde l’altro conseguente di render chiaro, porre in chiara luce, assai omogeneo al significato originario di dimostrare con prove, con fino ragionamento, attribuito ad Arguire ed oggi trasfuso nell’italiano Argomentare (vedi: Argento)”.
Tutto origina dalla città di Argo, nell’Argolide, abitata dagli Argivi (noti poi come Achei), fondata da Argo re del Peloponneso da cui la città prende nome. Argo era figlio di Zeus e fratello di Pelago, ed ebbe come suo successore un’altra presenza mitologica, forse meno nota, ma probabilmente ad onor del quale Ulisse così nomò il proprio cane. Ad arricchire le sfumature che il nome ‘Argo’ reca con sé ed a testimoniare che “aver gli occhi d’Argo” significa esser oculati, concorrerà Argo il Panopte, gigantesco essere prodigioso dotato di un centinaio di occhi disposti in tutte le direzioni e di una grande forza.
“Argo dai cent’occhi, il Panopte che vede tutto. […] La maggiore sua rinomanza viene dalla miracolosa perspicacia ond’era provveduto. […] Argo dai cent’occhi è la Vigilanza che a tutto sopravvede, di tutto si accorge, sia che guardi l’innocenza, sia che spii e scopra la malvagità. […] I poeti diranno appunto che cent’occhi splendono in fronte ad Argo: Morfeo non li poté mai chiudere tutti in una volta; se cinquanta cedono alla sua presenza, gli altri cinquanta si aprono e vegliano. […] [Considerato per questo il guardiano esemplare], alla sua morte Giunone sparse i cent’occhi d’Argo sui lunghi remeggi caudali del pavone.”
(Tasso, G. Enciclopedia italiana e dizionario della conversazione: opera originale, Vol. 2. Venezia, 1838)
ARGO parte dunque da queste suggestioni.
Chissà se di tanti miti qualcuno si agita dentro di noi, e chissà che non possa donarci una nuova audacia.